La voce MURALES, presentata da Fabio Corbisiero, Alessia Cadetti e Maria Corbi nel secondo volume dell’Enciclopedia, si arricchisce di una riflessione sul WRITING, a cura di Emanuele Stochino.
A metà degli anni ’60 a Filadelfia nacque il movimento Writing moderno, inteso non come marcatura del territorio da parte delle gang ma come forma di espressione personale. Già dai primi anni ’70, però, New York divenne il centro di riferimento per il movimento Writing (Hess, 2010). Il Writer utilizza la tag (la propria firma) come mezzo iconico per siglare superfici. La tag può corrispondere a un nome di fantasia come Leady Pink o un nome di fantasia unito al numero civico della sua abitazione come Taki 183 (Steward, 2009). Questo taggare era una forma di protesta verso le disparità sociali ed era anche inteso a sottolineare l’esistenza di persone che si sentivano abbandonate dal sistema. Il siglare con la tag il maggior numero possibile di volte qualsiasi tipo di superfice (gettin up o getting around) esplicava proprio questo malessere. Nel 1971 un considerevole numero di tag vennero rilevate per tutta New York e quella che compariva di più fu Taki 183 (Cresswell, 1996), tanto che il New York Times gli dedico un l’articolo «Taky 183’ Spawns Pen Pals» (Don Hogan, 1971). L’articolo fece da cassa di risonanza e le tag iniziarono a crescere esponenzialmente sulla metropolitana, sugli arredi urbani e sui muri (Lucchetti, 1999). Il writer più bravo era chi realizzava la propria tag il maggior numero di volte, un’altra modalità di valutazione per procurarsi fama all’interno della subcultura writer è quello di taggare un luogo arduo da raggiungere o per altezza o perché molto sorvegliato.
Tra gli anni ’70 e ’80 il fenomeno Writing dilaga in tutti gli Stati Uniti tanto che il bombing realizzato sui mezzi di trasporto pubblico divenne un problema economico e sociale poiché il costo della manutenzione e della pulizia dei mezzi e dei muri lievitò in modo spropositato (Levatis, 2009). La veloce crescita del Writing significò anche la differenziazione di capacità tecniche e artistiche tra i writer. Chi dimostrava capacità e talento e tendenzialmente aveva come occupazione principale il graffito e venne chiamato writer, chi invece sperimentava saltuariamente il Writing e non aveva una grande tecnica venne chiamato toy.
Nei primi anni Settanta i writer si unirono in vari gruppi e formarono le prime crew (gruppo) di appartenenza. Il lavorare in gruppo permise, grazie alla suddivisione dei compiti, di compiere opere pittoriche di maggiore effetto, grazie alle grosse dimensioni, e promuovere un determinato stile (Snyder, 2009). Le crew, formatesi come gruppi non dediti alla violenza (Rahn, 1999), nei primi anni della loro esistenza vivevano in quartieri controllati da gang. Le crew prestavano occasionalmente le loro capacità artistiche, a richiesta delle gang, per decorare i graffiti di delimitazione del territorio. Ciò non significava un’affiliazione ma un «favore» che facevano alle gang (Lachmann, 1988). Con la progressiva diminuzione delle gang anche questo servizio delle crew venne sempre più sciamando. Nei primi anni ’70 i writers si erano dati delle regole per rispettare il lavoro altrui: non disegnare sopra il lavoro di altri (detto crossing over) e non copiare lavori di altri. Queste regole vennero nel tempo disattese causando dissapori tra i writers.
Un aspetto rilevante nel writing è il progresso stilistico che è iniziato subito dopo la sua nascita (Castleman, 1982). Nel 1971 nascono le lettere Platform inventate da Top Cat 126. Questo stile di lettering è caratterizzato dalla parte inferiore che unisce tutte le lettere della scritta. Nello stesso anno Phase II iniziò a sostenere che un pezzo (opera di un writer), per essere pregiato, doveva possedere sia grandi dimensioni sia uno stile particolare e unico che doveva essere riconosciuto e distinto da tutti gli altri (Walde, 2011). Nel 1972 nasce il concetto di masterpiece cioè di capolavoro. I primi masterpiece erano tag molto grandi sulle fiancate dei treni in seguito le lettere delle tag furono delimitate da un colore (outline) e al loro interno iniziarono a comparire colori appariscenti. Le dimensioni dei masterpiece divennero sempre più grandi e fedeli alle regole della prospettiva (Norman, 1972). Nacquero gli stili: Top-to Bottom (T-to-B), che copriva un intero lato della vettura (compresi i finestrini); End-to-End (E-to-E), che copriva una carrozza da una estremità all’altra; Cloud che era uno sfondo a forma di nuvola che occupava tutto lo spazio da dipingere. Nel 1973 si affermarono quattro stili: il Soft (Bubble), lettere molto arrotondate con contorni morbidi; il 3-D proposto da Priest 167 su una fiancata di un treno (l’effetto ottico veniva percepito quando il treno era in movimento); il Wild style che rappresentava il punto più alto di lettering poiché la bravura di chi si cimentava con questo stile era l’elaborazione della lettera, infine Cliff 149 introduce il Comics ove compaiono i più popolari personaggi dei fumetti. I writers più bravi avevano il titolo di king e potevano esprimersi in luoghi a loro dedicati chiamati Hall of fame (Morillo, 2005).
BIBLIOGRAFIA
Castleman C. (1982), Getting Up: Subway Graffiti in New York, London, Cambrige Mass.
Cresswell T. (1996), In Place/Out of Place, Ideology and Trasgression, Minneapolis, Minesota University Press.
Don Hogan C. (1971), Taky 183’Spawns Pen Pals, New York Times, 21 July, p.37.
Hess M. (a cura di) (2010), Hip Hop in America: A Regional Guide. Vol.1: East Coast and West Coast, Santa Barbara California, Greenwood Publishing Group.
Levatis M. (a cura di) (2009), The New York Time Book of New York: Stories of the People the street and the Life of the City Past and Present, New York, New York Times.
Luccetti D. (1999), Writing. Storia, linguaggi, arte nei graffiti di strada, Roma, Castelvecchi.
Lachmann R. (1988), “Graffiti as Carieer and Ideology”, The American Journal of Sociology, 2, pp 229-250.
Morillo G. (a cura di), (2005), Graffiti Hall of Fame, Coup d’Etat Illustrated, 2, pp.71-74.
Rahn J. (1999), Paiting Withaut Permission: An Ethnographic Study of Hip-Hop Culture, Material History Review, 49, pp. 20-38.
Snyder G. J. (2009), Graffiti Lives Beyond the Tag in New York Underground, New York, New York University Press.
Stewart J. (2009), Graffiti kings: NYC Mass Transit art of the 1970’s, New York, Melcher Media, Abrams.
Walde C. (a cura di) (2011), Street Fonts. Gli alfabeti dei writer, Milano, Edizioni l’Ippocampo.
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Emanuele Stochino è professore a contratto presso l’Università degli Studi di Brescia. Dopo la laurea in Psicologia sociale presso l’Università degli Studi di Padova ha svolto attività di ricerca all’IRCCS Istituto Fatebenefratelli Sacro Cuore di Brescia. I suoi argomenti di ricerca vertono sulla relazione tra arte urbana e istanze della cittadinanza. Ha pubblicato diversi articoli su riviste nazionali e internazionali.
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